Le nuove frontiere delle neuroscienze: toccante testimonianza

neuroscienze

Oggi, sabato 30 luglio, a nemmeno tre anni dall’ischemia bilaterale del mesencefalo che mi lasciò vivo e senziente ma quasi paralizzato, per la prima volta sono riuscito ad aprire da solo, con accanimento e con l’aiuto di una piccola presa di cotone, una bottiglia di acqua minerale.
Non ridete.
Ci sono riuscito sul serio, ora vi racconto.

Tornavo carico di buste dalla spesa al mercato dell’Esquilino – impresa certo piacevole ma per me di quelle un po’ faticose, ma domani abbiamo ospiti, vengono a trovarci Eleonora e il marito. Eleonora aspetta un bambino e dopodomani parte, non la vedremo più per tutta l’estate, si era detto, per cui domani o nulla. Emanuela poi doveva stare al lavoro tutto il giorno. Nessun dubbio, la spesa andava fatta. Così tra l’altro ho rivisto dopo tanto tempo Fausto e Anna, Nicola… Il mercato del mondo, il mondo perennemente all’alba, dove l’unica parola che conta è inizio, e il tempo se è sempre all’inizio, non scorre più.
Quando arrivo a casa, molto assetato, e lascio a terra le buste pesanti, cariche di ogni bene, di scampi trasparenti e polpo certo appena staccato dallo scoglio, di friarelli cipolle melone odoroso, scopro di essere rimasto solo in casa.
Solo, non proprio.
Ortensio steso sul parquet sotto una alta pianta in vaso, di lunghe foglie lanceolate, lancia una inequivocabile richiesta in codice di grattini. Un miagolio breve e secco che termina con una nota alta mi ordina di deviare dal mio percorso rettilineo verso il frigorifero agognato e festeggiare la sua presenza con ripetute grida di “Ortensietti!” in varie tonalità, che lui ricambia rotolandosi, salvo poi inarcarsi all’improvviso agitando una zampa come fanno i gatti giapponesi di porcellana, per assorbirli meglio, i grattini.
Theo, steso anch’egli sul parquet a breve distanza da Ortensio, dandosi un tono tra due librerie, non dà segni di vita invece, come sempre quando è vedovo di Emanuela.
Con il permesso reticente di Ortensio, che balza dal parquet sul bordo del divano, molto energetico, e rimane per un momento sospeso con la zampa in aria a sentire cose che lui solo sa, guadagno finalmente il frigorifero, il refrigerio, la Fonte, il Ristoro.
Ho sete. Voglio acqua, e che sia fresca.
Ma non trovo bottiglie già aperte, come di solito, con il tappino facile da girare, tranne quelle di una marca che mi rifiuto di bere, anche un po’ svaporata.
E c’è una bottiglia di Lete, piena, con le goccioline che sudano.
Chiusa.
Sigillata.
Certo, posso maledire la sorte ingrata, ricordando che in questi tre anni un milione di volte ho provato ad aprire in tutti i modi una bottiglia sigillata di acqua minerale, fino a sudare per lo sforzo, senza risultato alcuno finora.
Ischemia bilaterale del mesencefalo.
E come diceva quel grosso e grasso neurologo, quello che “io non l’ho mai vista in vita mia, una cosa così”.
Come diceva?
Diceva, “non ci scriverà mai più con quella mano”.
Ma non divaghiamo.
Posso rinunciare al tentativo di svitare il tappo e bere invece un po’ di acqua fresca di quell’acqua qualunque, quella che non sopporto, oppure fare scorrere l’acqua dal rubinetto, bere quella.
Di sete non muoio certo, c’è chi sta peggio.
Se è per questo c’è sempre, chi sta peggio.
Ma oggi stamattina in questo momento adesso viene un’altra cosa, adesso.
Una forza tranquilla una piccola certezza mai sentita, una fede.
Ortensietti mi guarda, steso tranquillo sul bordo del suo divano bianco, adesso.
Theo alza l’orecchio, gnaula qualcosa, mi guarda con i suoi occhi quasi ciechi e mi ricordo che ha tanti anni in quel corpo così piccolo.
Oggi stamattina in questo momento qualcosa arriva, una piccola felicità.
Che domani viene Eleonora.
Che un amico in un’isola lontana e bellissima ha fatto una cosa bella, molto bella.
Che nella casa vuota si sente la presenza di Emanuela, di Lorenzo, come un quieto respiro.
Che Fausto e Nicola mi hanno sorriso rivedendomi e non credo per il cliente ritrovato, non credo.
Che mia madre sta male, questo è un dolore e non c’è rimedio ma è misteriosamente, anche un invito alla forza. A cercare di dipendere il meno possibile dagli altri, dal loro affetto, dalla loro fatica. A poter essere in altre parole anche in grado di portarlo agli altri, un piccolo aiuto. Anche solo poter fare un viaggio, una visita.

Prendo la presina di cotone e stringo con una mano la bottiglia, con l’altra faccio un movimento, peraltro studiato e provato a lungo, molto a lungo, tante volte.
Il tappo di plastica, dopo un primo tentativo, comincia a girare.
Si svita.

Oggi perciò brindo soddisfatto, e vi prego ripeto, non ridete, con un bicchiere di acqua effervescente naturale Lete a questo successo ormai quasi insperato.
Bisogna sempre insistere, ogni giorno un poco, quando una cosa si presenta impossibile ma voi lo sapete che è ormai alla vostra portata.
Con le cose piccolissime e piccole si fanno le cose grandi.

Il movimento che permette di stappare una bottiglia non è però, una cosa piccola.
Non lo è affatto.
È una delle più grandi conquiste dell’umanità.
È una combinazione di molti movimenti fini naturalmente, e implica l’uso di entrambe le mani o di un ausilio esterno, ma il fondamento è il gesto che nel gergo dei fisioterapisti è chiamato “pinza”.
La pinza si ottiene opponendo il pollice all’indice della stessa mano e cercando di far presa, con la mano che si rinserra si avvolge appunto come una pinza, con la sua forza concentrata nella stretta di pollice e indice.
Così fece un nostro antenato nella notte dei millenni: riuscì ad afferrare con la pinza un oggetto, memorizzò quel gesto nel suo software e nacque la civiltà umana.
Quell’antenato forse non sapeva nulla, certo non sapeva di avere inventato la pinza ma la pinza permise all’uomo di differenziarsi dalle scimmie e costruire la civiltà, afferrando un oggetto in modo utile.
Provate a fare una qualsiasi cosa, senza la pinza.

Questo brindisi lo dedico a te, Andrea. E a Giordana.
Andrea, Giordana sono tra quelli che mi hanno salvato.
Non sarei qui, senza di loro, non sarei qui nelle stesse condizioni di oggi.
Andrea Nati e Giordana Volpi sono i giovanissimi esperti di neuroscienza e fisioterapia cognitiva che con lunga, lunga applicazione e incredibile pazienza mi insegnarono di nuovo il movimento delle mani, e altre cose, dopo l’ischemia: ripercorrendo con l’intelligenza emotiva nella mia mente i percorsi neuronali interrotti e bruciati dall’ischemia stessa ma dei quali, mi spiegò Andrea, “tu non lo sai ma è rimasta traccia. Si tratta, più che di ritrovarli, di reinventarli. Tu cerca di fissarti su una emozione, non pensare di fare un esercizio fisico, una ginnastica, ma chiediti PERCHE’ vorrresti di nuovo fare quel preciso movimento. Torna all’emozione primaria della cosa che vorresti fare ancora, di cui ti ricordi bene”.
Andrea fece una pausa.
“Per esempio, forse vorresti farlo per poter ancora… accarezzare un gatto”.
Circuiti neuronali che si rigenerano.
Emozioni.
Intensità del ricordo che diventa emozione che diventa energia in grado di far muovere, anche solo per un istante, ma è l’inizio e in questo momento di stupore tutto ricomincia, la mano il braccio gli arti colpiti dall’ischemia.
C’entra anche, mi spiegò poi mio fratello Giampiero, una cosa complessa e semplicissima che si chiama “neuroni specchio”, ma questo ci porterebbe adesso ancora più lontano.

E come erano terribili i lunghissimi momenti quando non riuscivo proprio a trovare nulla, l’impresa mi sembrava impossibile e Andrea rimaneva in silenzio.
“Proviamo ancora”, diceva poi. Ripercorri la sequenza prima di tutto nella tua mente, punto per punto, un movimento dopo l’altro.”

Oggi, all’incirca tre anni dopo, non mi limito più a fare la pinza.
Con la mano un tempo ischemica, ho scritto questo racconto, che voi leggete.
Con le gambe che reagivano a fatica e preferivano la carrozzina, sono andato al mercato dell’Esquilino, forse tra pochi giorni potrò prendere un treno per andare a trovare mia madre.
Con le braccia che non si muovevano, ho portato le buste cariche di ogni ben di dio, per il pranzo di domani che cucinerà Emanuela, quando verrà a trovarci Eleonora, che è insieme cugina e sorella per noi, ora presto madre.

Oggi, per la prima volta, non ridete, sono riuscito ad aprire da solo una bottiglia di acqua minerale, e bevo un altro bicchiere di acqua fresca, come desideravo.
Ortensio, non ci giurerei, annuisce.
Prosit.

SEVERINO CESARIù

FACE BOOK 30 LUGLIO 2016

Per gentile concessione dell’autore

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