Le abitudini lasciano impronte nel nostro cervello.

Neuronale Zellen

Le abitudini lasciano impronte nel nostro cervello. Per questo sono difficili da spezzare

Una traccia durevole e ben distinta che facilita l’adesione a un comportamento: è quella lasciata dalle azioni che tendiamo a ripetere. Il meccanismo è spiegato in uno studio americano condotto sui topi dai ricercatori della Duke University (Usa).

Per scoprirlo gli scienziati hanno osservato il comportamento e l’attività cerebrale di alcuni roditori, “viziati” sperimentalmente. In particolare, gli scienziati avevano creato questa abitudine nei topi: ogni volta che premevano una leva ricevevano del cibo dolce. Allenando più volte i topi, i ricercatori potevano riconoscere facilmente quelli abituati: premevano la leva anche in assenza di ricompensa. Ma come era segnalata questa abitudine nel loro cervello?

Registrando l’attività elettrica nei gangli della base – strutture coinvolte nel controllo motorio e nei comportamenti routinari – i ricercatori hanno osservato che il pattern di attivazione nei topi abituati al dolcetto era diverso da quelli non abituati. Il loro cervello, “viziato”, era diverso da quello dei topi che non avevano sviluppato l’abitudine. In particolare la differenza si aveva relativamente a due circuiti nervosi, uno che promuove l’azione e uno che la sopprime, semplificando. Questi due diversi circuiti si accendevano in maniera diversa nei topi con o senza abitudine; nello specifico nei primi partiva prima il segnale che promuoveva l’azione (e quindi portava a soddisfare l’abitudine), negli altri no. L’impronta dell’abitudine era così forte che, analizzando il cervello dei roditori in laboratorio, gli scienziati erano in grado di capire quale tipo di topi stessero osservando, se quelli abituati al dolcetto o no.

I ricercatori hanno poi cercato di capire se era possibile rompere le abitudini acquisite (per esempio ricompensando gli animali solo quando non premevano la leva, di fatto cambiando l’abitudine) e hanno cercato di osservare se alcune delle caratteristiche cerebrali potessero o meno predire il successo dell’esperimento. Spezzare le abitudini, a quanto pare, era più facile nei topi che avevano un circuito di “accensione” più debole.

Se e come quanto scoperto possa valere anche nell’essere umano non è ancora chiaro così come non è chiaro cosa cambi nel cervello tra abitudini buone e comportamenti problematici come quelli relativi ai disturbi ossessivo-compulsivi, concludono gli scienziati

Anna Lisa Bonfranceschi

La Repubblic 27 marzo 2016

 

 

 

 

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